Per coscienza collettiva si intende l’insieme di credenze, idee e atteggiamenti morali condivisi che operano come una forza unificante all’interno della società. Una sorta di grande mente universale, generata dall’unione delle menti dei singoli, i cui pensieri nascono e si diffondono sfruttando la cultura popolare. L’immagine rappresentativa della pole dance, in questa coscienza collettiva, ha cambiato completamente forme e colori rispetto alla sua nascita.
Conoscere la storia della propria disciplina è importante tanto quanto praticarla. Per questo oggi vorrei parlarvi di quella trasformazione valoriale che la pole dance ha subito nel corso degli anni, ma attraverso un punto di vista un po’ particolare, nonché un tipo di comunicazione che conosco bene: la pubblicità.
Perché proprio la pubblicità?
La pubblicità ha come fine ultimo quello di aumentare le vendite di un determinato prodotto o servizio, ma per farlo deve prima riuscire in un processo di totale identificazione con i potenziali consumatori, rappresentandone i valori, le credenze e le abitudini. La pubblicità parla al singolo individuo, ma allo stesso tempo rappresenta la società, o comunque una parte di essa, mettendone in scena i sogni, le aspettative e le aspirazioni. La pubblicità può essere intesa come il riflesso bidimensionale della coscienza collettiva, per cui si presenta come una valida testimonianza rispetto alla mutevole immagine che la pole dance ha assunto nel corso del tempo nelle menti delle passate e presenti generazioni.
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Un passato da censura
La pubblicità viene da sempre vista come la sorella brutta del cinema, per via dei suoi fini commerciali, ma in realtà il legame fra queste due forme artistiche è più stretto che mai. L’una nasce dall’altra, e viceversa.
È curioso pensare a come fino a qualche anno fa l’articolo che ora state leggendo non si sarebbe potuto scrivere, perché sostanzialmente non esisteva alcuno spot pubblicitario che prendesse minimamente in considerazione l’idea di includere la pole dance nelle proprie riprese. La ragione è molto semplice, e deriva proprio dalla rappresentazione cinematografica della disciplina. I film che l’hanno resa celebre sono del genere di “Showgirls” (film del 1995 di Paul Verhoeven) o “Striptease” (film del 1996 con Demi Moore), in cui la pole dance viene rappresentata unicamente come attività da locali notturni, estremizzandone la parte sensuale e avvicinandola molto più al mondo della lap dance rispetto a ciò che invece rappresenta realmente.
Così facendo, l’immagine della pole dance è stata associata per anni a concetti quali volgarità, eccesso, superficialità e divertimento (ma no, non quello in senso positivo). Una concezione distorta e inesatta che è arrivata fino ai tempi recenti. In “The Bling Ring” (film del 2013 diretto da Sofia Coppola), ad esempio, vediamo Emma Watson che si lascia andare in movimenti sensuali attorno al palo di un locale
mentre in “Somewhere” (film del 2010) le due gemelle Karissa e Kristina improvvisavano un ballo a domicilio, cercando di catturare l’attenzione del loro annoiatissimo cliente.
Perfino il recentissimo film “Le ragazze di Wall Street” (film del 2019 con Jennifer Lopez), che si proponeva come fine quello di eliminare i pregiudizi, in realtà non riesce a distaccarsi dal mondo dello strip.
Per anni la parte sportiva della pole dance è stata completamente ignorata dai mass media, il che ha fatto in modo che i pregiudizi ricadessero non solo sulla disciplina stessa, ma anche su chiunque la praticasse. Se ad un’atleta di salto in alto venivano riconosciuti meriti e assegnate medaglie, ad una ballerina di pole dance, invece, fino a qualche anno fa venivano accreditati solo appellativi poco piacevoli. Perché il salto in alto richiedeva dedizione, fatica, concentrazione, mentre la pole dance presupponeva, secondo la concezione dell’epoca, il solo spogliarsi e mettersi in mostra.
È comprensibile dunque che nessuna azienda ne abbia voluto fare uno strumento di comunicazione, perché mai nessuno avrebbe voluto rispecchiarsi in un’attività considerata come immorale. Quanti valori aggiunti avrebbe potuto portare alla marca? Probabilmente zero. Ma le cose sarebbero presto cambiate.
Un presente da diva
Uno dei primi passi avanti è stato compiuto nel 2014, in cui come protagonista di uno spot, realizzato per il noto brand di occhiali Carolina Lemke, è stata scelta proprio una ballerina di pole dance. Un iniziale cambiamento di paradigma che si avverte già dal tipo di abbigliamento di lei, che si presenta non in slip e reggiseno ma in jeans e t-shirt. È una ragazza ammiccante e desiderabile, ma che non scade mai nella volgarità. Una scelta che intende portare l’occhio dello spettatore a focalizzarsi non sul corpo della ballerina ma sull’eleganza della disciplina, caratteristica che di conseguenza viene poi associata al prodotto pubblicizzato. Nonostante il finale ancora legato ad un certo tipo di stereotipo, in cui una volta indossati gli occhiali vediamo la ballerina dei sogni trasformarsi in una ragazza in carne che ammicca vicino a un palo della metro, per la prima volta è stato pubblicamente riconosciuto come valore il lato sensuale della pole dance, senza estremizzarlo, ma rappresentandolo semplicemente per ciò che è: una sfumatura di una disciplina molto più complessa.
La sensualità, l’apparire desiderabili, è una caratteristica innata della natura umana, che ognuno di noi ricerca e sviluppa nel corso della propria vita. Lo sport, invece, è quel qualcosa che unisce in una perfetta alchimia attività fisica e intrattenimento. E in questo senso la pole dance nasce dall’unione di forza e grazia, potenza ed eleganza.
Negli ultimi anni è finalmente emersa la vera essenza di questo sport. Quella che non è fatta di tacchi e lustrini, ma di calli e sudore. Di fatica e costanza. La pole dance è passata dall’essere vista come un’attività discriminatoria rispetto al ruolo della donna, ad essere invece utilizzata come valido strumento di riscatto sociale. Perché quello che viene promosso oggi non è più un corpo perfetto, idealizzato nel fisico delle modelle di Victoria’s Secret, ma un corpo in cui sentirsi bene con sé stesse. Attraverso la pole molte donne hanno riscoperto la fiducia in loro stesse, vincendo gli stereotipi e mostrando con fierezza la propria parte più femminile, senza dover rendere conto a nessuno della propria taglia, e dimostrando forza non solo nel fisico ma anche nell’animo. Sono questi i valori trasmessi dalla campagna “Why I Dance”, in cui sedici donne raccontano cos’è per loro la pole dance, e perché non possono più farne a meno.
L’acquisizione da parte della società di una maggiore consapevolezza ha portato alla nascita di nuove scuole specializzate, che negli ultimi anni stanno subendo un aumento esponenziale. Ad oggi rileviamo una totale controtendenza rispetto al passato, dove le donne non nascondono più la loro scelta sportiva per timore del giudizio maschile, ma ne parlano con fierezza, mostrando i loro progressi e la tonicità acquisita grazie alla completezza della disciplina.
Oggi essere una pole dancer può essere considerato quasi un vanto, al punto di diventare sinonimo di iconicità. Lo testimonia il nuovo spot creato per Radio Monte Carlo, in cui la protagonista è una ballerina di pole dance (la campionessa italiana Valeria Bonalume), e le accezioni per la prima volta sono tutte positive.
Il caso Radio Monte Carlo
Radio Monte Carlo da sempre si caratterizza per la qualità̀ del suo intrattenimento e la scelta di contenuti di valore, dando spazio all’arte, alla cultura, alla moda e al design. Ma Monte Carlo è molto più che una semplice radio: è simbolo di classe, stile ed eleganza.
Lo spot nasce dalla necessità di valorizzare l’immagine del brand, mostrandone i valori e consolidandone il posizionamento di radio esclusiva e distintiva, dallo stile ricercato e glamour.
Un’esigenza che ha portato a scegliere la pole dance come mezzo espressivo di una contemporaneità di cui Radio Monte Carlo si fa portavoce, riconoscendone l’attualità e l’impatto sociale proprio del momento presente. Un progetto comunicativo che si traduce in una danza in grado di unire eleganza e spettacolarità, armonia e abilità, drammaticità e pathos, dando origine ad un’intensa esperienza multisensoriale che è riuscita a trasformare la nota emittente nell’essenza della musica, come ci ricorda il claim finale.
Per la prima volta, dunque, la pole dance viene utilizzata come strumento di elevazione sociale, diventando elemento iconico per un brand che vanta una storia lunga più di mezzo secolo.
Uno spot che ha segnato un momento importante nella storia di questo sport, caratterizzato dall’abbandono di qualsiasi tipo di stereotipo, verso la creazione di un panorama più equo, giusto e riconoscente verso tutte le donne che scelgono di intraprendere questa disciplina.
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