Cosa vuole di più in assoluto un essere umano? Lo sa bene il marketing che ci propone incessantemente standard da seguire, ci mostra famiglie che si riuniscono a colazione con la luce del giorno ad illuminare la tavola imbandita di sorrisi e messe in piega perfette. Oppure vediamo una coppia affascinante di mezza età che sfreccia sulla loro auto nuova su per i tornanti di una collina innevata. Salirai la scala sociale e ti sentirai felice, appagato, bello e di successo solo se acquisterai questi biscotti, questa auto, questa borsa, questo telefono. Se vivrai in questa città. Se avrai più followers. Se possederai più denaro. Se il tuo naso sarà più piccolo, se impedirai la vecchiaia e se i tuoi muscoli saranno più tonici. Se farai le tue vacanze in quella nave da crociera, quella che ti garantisce la felicità al quadrato.
Sappiamo che non è reale eppure ne veniamo attratti. Dovreste vedere in che condizioni faccio colazione la mattina o con quanta poca scioltezza guido l’auto in salita. Nessuno comprerebbe biscotti o auto se ci fossi io a recitare nello spot.
Siamo alla costante ricerca della felicità. E se ci chiediamo: quanta felicità vuoi? Un’ora? Un mese? No. La vogliamo infinita. Ma la felicità, la serenità, lo stato di pace non può essere raggiunto nel mondo materiale. Tutto è limitato nel mondo materiale. Puoi avere un conto in banca a sei zeri, ma avrà il suo limite. Puoi avere successo, ma anche quello ha un limite. Per questo soffriamo.
La felicità materiale è illusoria. Quante volte abbiamo desiderato ardentemente qualcosa ed una volta ottenuta, finito il momento di eccitazione, la magia finisce e desideriamo subito qualcos’altro?
“La ricerca del piacere è essa stessa il piacere”.
Gotthold Ephraim Lessing
Ciò non significa non godere di un nuovo telefono, di una nuova auto, di un nuovo lavoro, di un nuovo amico, ma semplicemente lasciare che questi desideri non prendano il dominio sulla nostra mente. Non pretendere che duri in eterno. Non attaccarsi ad essi e saperli lasciare andare. Non disperarsi se non abbiamo l’ultimo modello di telefono. Se troviamo un graffio sulla macchina. Se un amico prende un’altra strada.
Nello Yoga si parla spesso della pratica del non-attaccamento. L’attaccamento in sanscrito si chiama Raga, il volere che una situazione che ci ha procurato gioia si replichi all’infinito. Può essere una situazione, ma anche un oggetto, una persona o qualsiasi cosa nella quale noi ci ancoriamo pur di rivivere la felicità che ci ha procurato. Per sconfiggere questo occorre vivere nella semplicità, circondati dall’essenziale. Non rimanere attaccati ad un’idea, ad una persona, ad un oggetto. Accettare il continuo flusso del cambiamento. Soffriamo perché non accettiamo l’idea del cambiamento. Ma dobbiamo ricordarci che nella vita il dolore è necessario, la sofferenza invece un optional. La vita è fatta di alti e bassi, è inevitabile, quello che possiamo cambiare è il nostro atteggiamento, che nello Yoga prende il nome di Santosa – l’atteggiamento di contentezza.
L’unica cosa di infinito è l’universo della coscienza e dell’amore. Quelli vivono dentro al tuo cuore, alla tua coscienza, alla tua anima. E’ in questa direzione che lo Yoga ci vuole portare.
E’ ora di fare le valigie e di partire per un nuovo viaggio…
Namastè
Cristina Curreli
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